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Olio di palma, consumiamone di meno

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palmaFacciamo una premessa: lungi dall'obiettivo di demonizzare l'olio di palma, lo scopo di questo post è capire se il suo utilizzo arreca più vantaggi o svantaggi. In modo da regolarsi di conseguenza.

L'olio di palma sembra aver inondato il mercato dell'industria dolciaria. E' presente, infatti, in moltissimi prodotti da forno sia dolci che salati: biscotti (secondo il Fatto alimentare è contenuto nel 94% delle confezioni) merendine, crackers, fette biscottate, pane confezionato, creme spalmabili (c'è pure nella Nutella),snack,  gelati. Per due motivi fondamentali: costa molto meno di altri grassi (ad esempio l'olio di oliva, di girasole o il burro) e ha sostituito il vecchio processo di idrogenazione dei grassi, che infatti ormai non usa quasi più nessuno. Avete presente la scritta in etichetta “senza uso di grassi idrogenati”? Ormai tantissime aziende hanno abolito questo procedimento che provoca la formazioni dei temuti acidi grassi trans. Ma in compenso usano l'olio di palma. Che, pur essendo vegetale, ha un contenuto di grassi saturi pari a quello del burro, pari cioè a un grasso animale. E quindi, essendo molto “solido” a temperatura ambiente, non ha bisogno di essere idrogenato.

Ecco, dal punto di vista della salute è questo l'aspetto più critico dell'olio di palma: i grassi saturi sono ritenuti ampiamente coinvolti nel rischio cardiovascolare, mentre l'olio di oliva e gli altri oli vegetali hanno un alto contenuto di grassi insaturi, che aiutano a combattere il colesterolo cattivo. E questo è sicuramente un buon motivo per limitarne l'uso. E' pur vero che altri studi clinici sostengono che gli effetti sulla salute dipendono dall’equilibrio generale tra grassi saturi e grassi insaturi nella dieta. Se questo equilibrio è adeguato, sembra che gli acidi grassi polinsaturi possano compensare l’effetto negativo di quelli saturi. Ma secondo gli esperti, il problema vero è “l'effetto accumulo”. Poiché, come visto, questo grasso è presente in tantissimi prodotti, lo assumiamo spesso in modo “inconsapevole”: se sommiamo i biscotti della colazione, al cracker di metà mattina, allo snack del pomeriggio fino, magari, al toast della sera (la maggior parte del pane in cassetta e confezionato contiene infatti olio di palma), alla fine la quantità assunta comincia a diventare importante.

Per le aziende, un altro vantaggio del palma sarebbe una maggior resistenza all’irrancidimento rispetto al burro (e dunque una maggior conservabilità). Inoltre si tratta di un olio insapore, che permette di valorizzare la fragranza degli altri ingredienti e soprattutto l’assenza di conflitto con gli aromi aggiunti.

A questo punto, tra burro e olio di palma, meglio il burro. Perché, la provenienza dai paesi tropicali può esporre questo grasso al rischio che contenga residui di pesticidi e sostanze tossiche usate per la coltivazione o nelle aree di coltivazione. Il palma viene infatti zone in cui è ancora impiegato il DDT. Fortunatamente i dosaggi effettuati finora in ambito internazionale non hanno riscontrato la presenza di queste sostanze in quantità superiori alle soglie consentite.

Ci sono anche ragioni di tipo ambientalista che dovrebbero dissuaderci dall'utilizzare questo grasso. Le estese coltivazioni di palme da olio contribuiscono alla distruzione della biodiversità e delle colture locali, e sono responsabili del depauperamento dei terreni e dello sfruttamento di chi li lavora. Per far posto a queste coltivazioni in molti paesi dell’area tropicale, si radono al suolo milioni di ettari di foresta.

Il sito il Fatto alimentare.it  ha intrapreso una campagna contro l'olio di palma, e ha invitato i lettori a segnalare i prodotti che non lo contengono. Per fortuna le alternative ci sono e non comprendono solo alimenti biologici (che pure molti casi non sono esenti dall'olio di palma), mediamente più cari, ma anche prodotti venduti nei discount. Finora al Fattoalimentare sono arrivate una ventina di segnalazioni. Ma si spera che la lista si allunghi con il contributo dei consumatori (fate qui le vostre segnalazioni di prodotti senza olio di palma, se volete).

Un'ultima parola sulle etichette. Se avete deciso di limitare il consumo di olio di palma, diffidate anche dai prodotti che recano tra gli ingredienti la dicitura generica “grassi vegetali”: nel 90% dei casi si tratta sempre di olio di palma. Più oneste le aziende che già lo dichiarano apertamente chiamandolo con il suo nome. Tenendo presente che dal 14 dicembre 2014 sarà obbligatorio per tutti indicare in modo chiaro sull’etichetta il tipo di grasso usato.

 

 


Petizione europea per dire no all'olio di palma

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cornettiDi olio di palma ne avevamo già parlato qualche tempo fa su questo blog. Il tema ora torna di nuovo in primo piano grazie a una petizione europea  che chiede a produttori e governi di limitarne l'uso nei prodotti da forno.  Il dibattito sulla presenza di tale sostanza nei biscotti, le merendine e gli snack salati ha riscaldato gli animi di molti consumatori e lettori delle riviste di settore,  la cui maggioranza esprime contrarietà all'impiego di questo grasso tropicale 'low-cost' nella produzione alimentare italiana, da sempre improntata alla qualità anche nei segmenti di prezzo più economici. Per questo Il Fatto Alimentare insieme a 'Great Italian Food Trade' ha lanciato una petizione  su Change.org per dire stop all'invasione dell'olio di palma presente nel 95% dei prodotti da forno. Iniziativa che sta avendo un grande successo: in sole due settimane sono state raccolte più di 71mila firme e sono stati ottenuti i primi risultati concreti.

L'impegno della grande distribuzione. Sono già cinque, infatti, le catene di supermecati - per la precisione Coop, Esselunga, Md Discount, Ld Market e Ikea-  che hanno detto no all'impiego di questo grasso e hanno annunciato il loro impegno ad aumentare il numero di prodotti a marchio senza olio di palma.

La sostituzione del resto non è un passaggio complicato visto che sono già in vendita oltre 100 tipi di biscotti, 40 tipi di cracker e snack e 40 merendine che non utilizzano questo grasso. La stessa linea di Mulino Bianco di Barilla ha nell'assortimento un prodotto che non contiene  palma  ma olio extra vergine (cracker Fiori d’acqua  ) e anche Ferrero ha scoperto che si possono fare merendine senza questa materia prima (Brioss ciliegia). Clicca sui seguenti link per vedere la lista dei prodotti senza olio di palma: biscotti / merendine / grissini e crackers

Che l'olio di palma faccia male alla salute è dimostrato anche da alcuni studi scientifici. Una raccolta di studi condotta dai ricercatori e nutrizionisti italiani come Elena Fattore, Cristina Bosetti, Furio Brighenti, Claudio Agostoni e Giovanni Fattore su oltre 50 lavori diversi e pubblicata nel 2014 su The American Journal of Clinical Nutrition, evidenzia che il consumo abituale di olio di palma fa aumentare in modo significativo la concentrazione di grassi nel sangue, dal colesterolo ai trigliceridi. Non solo, il rapporto tra colesterolo cattivo (LDL) e buono ( HDL) aumenta, per cui alla fine si assiste a maggiori livelli di colesterolo cattivo. Un altro elemento evidenziato è la maggiore presenza di colesterolo cattivo nel sangue tra gli abituali consumatori di olio di palma, rispetto alle persone che impiegano altri grassi decisamente più salutari come l’olio extravergine di oliva.

La risoluzione M5s. La questione dell'olio di palma è approdata anche in Parlamento, grazie a Matteo Mantero, deputato del Movimento 5 Stelle, che dopo aver letto e sottoscritto la petizione, ha tradotto il testo in un atto parlamentare. Il documento di Mantero è stato subito sottoscritto da altri nove parlamentari del Movimento 5 Stelle ed è stato presentato alle commissioni congiunte Affari Sociali e Agricoltura della Camera dei deputati, nella seduta del 28 novembre scorso. Si aspetta che la risoluzione venga calendarizzata in Aula.

Il testo della petizione. Per chi fosse interessato, riportiamo qui il testo della petizione europea:

"Dal prossimo 13 dicembre milioni di consumatori italiani ed europei scopriranno la presenza di un nuovo ingrediente in migliaia di prodotti alimentari. Stiamo parlando dell’olio di palma, una sostanza fino a oggi camuffata dietro la scritta “olii e grassi vegetali”. Per rendersi conto di quanto l’olio di palma sia diffuso basta dire che è il grasso principale di quasi tutte le merendine, i biscotti, gli snack dolci e salati, le creme… in vendita nei supermercati. L’ampio utilizzo di questa materia prima è dovuto sia al costo estremamente basso, sia al fatto di avere caratteristiche simili al burro.

Il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade dicono “no” all’olio di palma per motivi etici, ambientali e di salute e invita le aziende a sostituirlo con altri oli vegetali non idrogenati o burro.

Gli osservatori internazionali mostrano come il 'land grabbing', cioé la rapina delle terre, una delle più drammatiche quanto attuali minacce all'umanità, sia sovente finalizzata alla devastazione delle foreste asiatiche e africane per impiantare palme da olio. Per chi non avesse avuto modo di seguire la vicenda, proviamo a riassumerla.

A partire dalla metà del decennio scorso si è scatenata una vera e propria 'corsa alla terra'  da parte di colossi industriali, fondi sovrani e finanza internazionale. Investimenti milionari che si sono tradotti - col contributo di governi locali corrotti  e delle loro milizie - nella violenta sottrazione delle terre alle comunità che le hanno abitate da sempre, e la deportazione di centinaia di migliaia di famiglie spesso perciò costrette a pericolosi 'viaggi della speranza' con frequenti approdi sulle coste siciliane.

Con un mezzo, la deforestazione di aree boschive (prima causa di emissioni di CO2 in Sud-Est asiatico), la devastazione degli 'habitat' naturali, la deviazione dei corsi d'acqua e l'impianto di coltivazioni intensive di palma da olio appunto. E un obiettivo preciso, produrre 'bio-combustibili', si fa per dire, e il più economico grasso a uso alimentare. Da principio in Asia, poi in Africa. Con gravi e ripetute violazioni dei diritti umani, eliminazione della sovranità alimentare, fine della biodiversità.

Il misero tentativo  di 'rinverdire' l'apparenza di questo grasso tropicale e dell'immagine stessa dei suoi grandi utilizzatori - mediante una iniziativa, pur apprezzabile a livello meramente teorico, volta a certificare il 'palma sostenibile' (RSPO) - del resto, senza cancellare i crimini internazionali tuttora in corso, si rivela essere una copertina così piccola da coprire soltanto quote minime della sua produzione globale.

In ragione di quanto sopra - e a prescindere da ogni valutazione sulla incompatibilità del consumo di grassi di palma con i principi a base di una sana nutrizione  - i firmatari esprimono la loro ferma contrarietà all'utilizzo di tali ingredienti nelle produzioni alimentari. A maggior ragione in quanto la tradizione produttiva e gastronomica in Italia come in Europa prescinde dal suo utilizzo. E l'innovazione sulle tecnologie alimentari, nelle quali pure si eccelle, consente di relegare definitivamente al passato la transitoria fase di produzioni ignare, dettate da convenienze economiche e tecnologiche oggi prive di giustificazione.

Le associazioni e le redazioni firmatarie avviano dunque una petizione internazionale, anzitutto rivolta:

- alla Grande Distribuzione Organizzata, in Italia e in Europa. Affinché venga escluso dalle forniture di 'private label' ogni prodotto che contenga oli e grassi di palma. Privilegiando inoltre la fornitura e l'esposizione a scaffale di prodotti a marchio privi di tali ingredienti. Affinché tali impegni siano adottati in ogni filiale nei cinque continenti, e vengano promossi nei contesti globali di rappresentanza, consultazione e trattative commerciali,

- alle industrie e imprese agroalimentari, in Italia e in Europa. Per impegnarsi a eliminare l'uso di grassi di palma da ogni loro prodotto, nell'egida della valorizzazione delle produzioni e del loro coerente apprezzamento da parte dei consumatori del pianeta. Perché il 'Made in Italy' come il 'Made in France' e di altri Paesi, e il 'Made in Europe' più in generale, nel settore agro-alimentare, possano effettivamente distinguersi come buono e giusto,

- ai ristoranti, fast-food, hotel, bar e pubblici esercizi, mense, catering, panetterie e pasticcerie. Si chiede di assumere l'impegno a non utilizzare il palma nelle loro cucine, e a rendere nota la natura degli oli impiegati in frittura. Si chiede poi di interrrompere l'offerta di prodotti da forno, dolci e salati, che contengano palma anche sotto forma di margarine

- alle associazioni dei consumatori, alle confederazioni agricole, e alle ONG che in ogni parte d'Europa a vario titolo si interessino di diritti umani, lotta alle disuguaglianze, tutela dell'ambiente, salvaguardia dei territori e valorizzazione del patrimonio culturale e produttivo nella filiere agro-alimentari italiana ed europea. Affinchè aderiscano e a loro volta promuovano questa petizione, in vista dello sviluppo di una politica europea condivisa che ponga il rispetto dei diritti umani, della salute e sicurezza nutrizionale e la tutela dell'ambiente al centro di ogni strategia. Oltre a sottoscrivere la Dichiarazione di Dakar contro la rapina delle terre.

- ai Governi nazionali e locali in Europa, alle loro Regioni Province e Comuni, agli enti pubblici e da essi controllati. Per introdurre il divieto di introdurre alimenti che contengano derivati di palma in ogni gara d'appalto e capitolato d'acquisto relativi a mense pubbliche, scolastiche, ospedaliere e aziendali, nonché a qualsivoglia approvvigionamento e fornitura di prodotti alimentari, ivi compresi quelli destinati alle c.d. 'vending machines',

- ai Governi dell'Italia e degli altri Stati membri UE, alle Regioni e Province Autonome, e alle rispettive rappresentanze diplomatiche nei contesti europei e internazionali. Affinché l'Italia 'in primis' aderisca alle Linee Guida adottate l'11.5.2012 dal CFS ('Committee for World Food Security') della FAO, per una gestione responsabile delle terre, delle foreste e dei bacini idrici. Sollecitando tutti gli Stati membri UE, l'Unione Europea stessa e gli altri Paesi aderenti alla FAO a seguire tale esempio, controllando l'effettiva applicazione delle relative norme da parte dei gruppi industriali e finanziari ivi basati e/o quotati,

- ai nostri eurodeputati. Si portino avanti le interrogazioni già intraprese nella precedente legislatura. Senza accontentarsi di risposte velleitarie imporre alla Commissione Europea di vincolare ogni aiuto di cooperazione e negoziato di libero scambio all'assunzione di concreti impegni, da parte degli interlocutori internazionali, nella lotta al land-grabbing. Impegni da sottoporre a sistematiche verifiche di osservatori internazionali indipendenti,

- ai consumatori e cittadini, infine e da principio, l'invito a preferire gli alimenti che non contengano oli e grassi di palma. A sottoscrivere questa petizione, e a partecipare all'impegno contro le barbarie di 'land grabbing' e deforestazione".

La petizione è stata inviata a:

- Ministero della salute, Ministero delle politiche agricole, Ministero dello sviluppo economico.

- Barilla, Bauli, Bistefani, Colussi, Galbusera, Kellogg’s, La Doria, Gruppo Mondelez, Nestlé, Heinz Plasmon, Vicenzi, Unilever.

- Auchan, NaturaSì, Billa, Il Gigante, Iper, Eurospin, Conad, Lidl, Carrefour, LdMarket, Lombardini, Ikea, Supersigma, Pam, Pennymarket, Gruppo Selex, Sma, Unes, Finiper.

 

 

Ferrero e l'olio di palma: "Solo se è certificato"

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palma2Della crociata contro l'olio di palma, presente in  moltissimi prodotti da forno sia dolci che salati, abbiamo già parlato  sulle pagine di questo blog. Le posizioni, come sappiamo, sono discordanti. Semplificando la questione,  da un lato ci sono gli alimentaristi che sottolineano come questo grasso vegetale di bassa qualità sia ricco di grassi saturi ritenuti ampiamente coinvolti nel rischio cardiovascolare. E quindi, al pari di un grasso animale come il burro, sarebbe bene evitarlo, o quanto meno non eccedere nell'uso. Al loro fianco gli ambientalisti denunciano che le estese coltivazioni di palme da olio contribuiscono alla distruzione della biodiversità e delle colture locali. Dall'altro lato le industrie dolciarie sostengono l'uso di questo grasso proprio perché, essendo molto “solido” a temperatura ambiente, non ha bisogno di essere idrogenato.  Processo, quello dell'idrogenazione, che produce i noti 'acidi grassi trans,  ancora più dannosi e per questo abbandonato dalla maggioranza dei produttori.

Oggi la Ferrero annuncia che nei suoi prodotti (la Nutella in primis) continuerà a usare l'olio di palma. Ma si tratterà solo di olio di palma  certificato al 100% come sostenibile e "segregato", ossia fisicamente separato da quello non sostenibile e "tracciato" dalle piantagioni certificate sostenibili alle linee di produzione. Un impegno perseguito dal Gruppo albese anche con il proprio "Palm Oil Charter", lanciato nel 2013, per contrastare le cause principali della deforestazione e arrivare ad un equilibrio tra il rispetto dell'ambiente, i bisogni delle comunità e la convenienza economica. La "Carta" prevede 10 criteri specifici di comportamento e pratiche agricole che vengono comunicati ai fornitori affinchè questi ultimi si impegnino ad implementarli nelle piantagioni dalle quali Ferrero si approvvigiona. Una scelta che ha fatto meritare al colosso dolciario italiano il plauso anche del WWF.

Insomma, l'olio di palma ecologico è già un primo passo.  Se poi vogliamo evitarlo del tutto, non resta che leggere bene l'etichetta. La nuova etichetta europea, infatti, entrata in vigore il 13 dicembre 2014, impone l'obbligo di indicare chiaramente la natura del grasso utilizzato. Quindi i produttori non possono più nascondersi dietro la definizione generica di "grasso vegetale", ma devono specificare nel dettaglio di quale grasso vegetale si tratti. E se volete un rapido prontuario dei prodotti privi di olio di palma, potete consultare l'elenco pubblicato sul Fattoalimentare.it.  che, assieme a Great Italian Food Trade, ha lanciato anche  una petizione tramite Change.org  per arginare l’invasione dell’olio di palma negli alimenti e fermare il disboscamento delle foreste tropicali.

La petizione ha raggiunto 100 mila firme in poco più di due mesi. "Qualche cosa si sta muovendo - ci spiega Roberto La Pira, direttore del Fattoalimentare -  sei catene di supermercati hanno dichiarato di voler togliere l’olio di palma dai loro prodotti a marchio (Coop, Esselunga, Carrefour, Ikea, Ld discount e Md market) e alcune hanno già cominciato a vendere sugli scaffali biscotti e fette biscottate senza grassi tropicali. In particolare la scelta di Carrefour ha un valore importante perché si tratta di un percorso avviato anche in altri paesi e si prevede di portare a termine la progressiva e parziale sostituzione del palma entro il 2020. È bene ricordare che la sostituzione del grasso di palma con grassi che non peggiorano il livello nutrizionale e non penalizzano il gusto come olio di mais, girasole, colza non comporta spese aggiuntive".

 

150mila firme contro l'olio di palma

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palma150 mila persone hanno firmato su Change.org la petizione promossa da Great italian food trade e il  Fattoalimentare.it, sito specializzato sui temi dell'alimentazione, per limitare l'invasione dell'olio di palma nei prodotti alimentari. Il traguardo è stato raggiunto dopo sette mesi. "In questo periodo - ci racconta il direttore de Il Fatto Alimentare Roberto La Pira - abbiamo spiegato i motivi della nostra petizione alle aziende e alle catene di supermercati e molte persone hanno smesso di comprare prodotti con olio di palma. La conferma di questo nuovo comportamento - continua La Pira - è arrivata da uno dei più importanti produttori di biscotti che pochi giorni fa al telefono ci ha detto: 'Il messaggio è ormai passato e non si torna più indietro, noi stiamo cambiando tutte le ricette. I consumatori non vogliono più il palma'. Anche 15 catene di supermercati hanno risposto al nostro appello decidendo di abbandonare progressivamente il grasso tropicale".

Insomma, una bella vittoria che ha dato una scossa alle aziende nostrane di prodotti da forno. Ci sono marchi che hanno abbandonato il palma  (Misura, Gentilini), alcuni che lo hanno tolto dai nuovi prodotti e altri ancora che già non lo usavano per scelta etica (Alce Nero). "I big del settore come Barilla, Ferrero e Plasmon - spiega ancora La Pira - si arrampicano sui vetri per convincere i consumatori che il palma fa bene, e non distrugge le foreste ma poi annunciano una riduzione nelle ricette. Qualche azienda prova a dire di usare solo olio certificato che non causa danni all’ambiente ma si tratta di mezze verità visto che la quota di olio certificato è solo una minima parte e ogni giorno in rete si denunciano e si vedono immagini di devastazioni. Barilla ad esempio ha dichiarato che solo quest'anno riuscirà a rifornirsi completamente da piantagioni certificate al 100%, vuol dire che fino a pochi mesi fa la provenienza di una parte del prodotto era da coltivazioni intensive ottenute disboscando la foresta tropicale in modo selvaggio. Ferrero che è stata tra le prime a scoprire il palma, tanto da utilizzarlo come uno degli ingredienti principali della Nutella, ha da poco lanciato sul mercato una nuova merendina che usa solo olio di girasole (Kinder Brioss Frutta) si tratta della terza dell'assortimento, tutte le altre contengono palma".

Sul piano nutrizionale qualcuno prova a difendere il palma, ma si tratta di un'impresa difficile. A livello ufficiale esistono poche documentazioni, ma va detto che l'agenzia francese per la sicurezza alimentare (Anses) invita a limitare il palma proprio in virtù del livello di saturi come il palmitico. In questa storia è scesa in campo anche la lobby italiana delle aziende con una speciale campagna di comunicazione per convincere i direttori dei giornali sulla bontà dell'olio tropicale. L'Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane), infatti, ha mandato alle redazioni un dossier dal titolo: "L'olio di palma, un ingrediente da conoscere, non da demonizzare", allo scopo di riabilitare questo grasso. Un documento in verità ricco di dati, che però non risponde alle domande dei consumatori. Ad esempio si dice che l'olio di palma è il grasso più utilizzato al mondo perché è quello che in assoluto ha le rese migliori, prolunga la durata del prodotto limitando l'uso dei conservanti, consente di non ricorrere all'idrogenazione, processo che provocava la creazione dei dannosissimi acidi grassi trans e per questo bandito oramai da almeno una quindicina d'anni. E si illustrano dati secondo cui l'Italia utilizza nell'industria dolciaria 'solo' l'11% del palma importato. Come a dire che in realtà non è molto usato: ma basta fare un giro in un qualunque supermercato e dare un'occhiata alle etichette per scoprire che il 90% dei prodotti da forno lo contiene.

Le industrie dolciarie sostengono inoltre che l’olio di palma non è dannoso per la salute e citano lo studio da loro finanziato e svolto nel 2013 dall'Istituto Mario Negri. Evidenziano quindi che i danni derivati dal palma sono assolutamente marginali. E affermano che il contributo medio dei prodotti dolciari all'assunzione di olio di palma è di 2,8 gr per persona al giorno. Ossia l'equivalente di due biscotti. Ma il punto è proprio questo: se ci si limitasse a due biscotti al giorno, il palma non sarebbe più dannoso di altri grassi saturi. Il problema, come abbiamo più volte ripetuto, è che l'olio di palma è onnipresente. Se la mattina si mangiano biscotti o merendine, a pranzo cotolette impanate, magari uno snack il pomeriggio, pane confezionato la sera, ecco che la quantità di olio di palma supererà di gran lunga i 2,8 gr quotidiani.

Quanto alla questione della sostenibilità, l’Aidepi sottolinea poi che "La palma da olio si coltiva in 17 Paesi della fascia equatoriale, due dei quali, Malesia ed Indonesia, da soli rappresentano circa l’86% della produzione mondiale e fornisce sussistenza economica a diversi milioni di persone". Ma non parla degli effetti negativi della deforestazione sull'ecosistema di quei paesi. Il dossier sostiene che moltissime aziende utilizzano solo (o quasi) olio di plama certificato RSPO. Ossia proveniente da palmeti che non sarebbero stati piantati dopo aver raso al suolo ettari su ettari di foreste tropicali. Ma RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil, l'associazione agricola nata nel 2004 con l'obiettivo di promuovere l'uso dell'olio di palma sostenibile) è una certificazione che interessa solo il 18% della produzione globale di olio di palma e, come ha denunciato la rappresentante di Greenpeace Southeast Asia, proprio RSPO inaugura coltivazioni in quelle aree recentemente deforestate. Ricordiamo che l’Indonesia ha perso oltre 6 milioni di ettari di foresta primaria in soli 12 anni.

Anche la Malesia è intervenuta in difesa del prodotto. Yusof Basiron, ceo del Malaysian palm oil council (Mpoc), in un comunicato dice che il palma è "un olio sano e naturale, non da meno dell’extravergine che si fa in Italia”, dimostrando una certa confusione in materia. Per non parlare poi del cartello, comparso nello stand della Malesia a Expo 2015, in cui si definiva "illegale" apporre in etichetta la dicitura "senza olio di palma".

L'ultima notizia riguarda la prossima uscita di un documento firmato del CraNut (ex Inran) sul problema dell'olio di palma. "Aspettiamo con interesse il dossier - conclude il direttore del Fattoalimentare-  e confidiamo che il gruppo di esperti incaricati non comprenda ricercatori o nutrizionisti che hanno o hanno avuto in un recente passato generosi contratti di consulenza con la lobby degli industriali".

La raccolta di firme su Change.org continua, questo è il link  per aderire https://www.change.org/p/stop-all-invasione-dell-olio-di-palma.

 

 

 

Francia e Russia contro l'olio di palma

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palma2Il Senato francese ha appena approvato la tassa progressiva sull'olio di palma, provvedimento che ora dovrà essere votato dall'Assemblea nazionale. La Russia, invece, ha intenzione di introdurre nuove accise contro questo grasso saturo tropicale, assieme ad altri prodotti nocivi per la salute come cibi altamente zuccherati e bevande gassate. In Italia, invece, sono sempre più numerosi i produttori che scelgono di abbandonare il palma a favore di grassi vegetali insaturi più salutari.

In particolare l'iniziativa francese - promossa sia per motivi sanitari che ambientali - ha sollevato le proteste di Indonesia e Malesia, principali produttori mondiali di olio di palma, per il timore che altri Paesi occidentali possano seguirne l'esempio.

Intanto la tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile (la Rspo, Roundtable on sustainable palm oil che riunisce 2.500 aziende, dai produttori ai commercianti, dai rivenditori agli investitori) ha lanciato un pacchetto di standard con lo scopo di evitare la deforestazione, la violazione dei diritti umani e ridurre le emissioni di gas serra del settore. Ma i più critici, come ad esempio il quotidiano sulla sostenibilità ambientale Rinnovabili.it, ritengono che i nuovi standard mancano in partenza l'obiettivo: "L’adesione è infatti su base volontaria - spiega Rinnovabili.it - chi non ha intenzione di sobbarcarsi un aumento dei costi potrà continuare business as usual. Questo perché Rspo ritiene impossibile, per tutti i suoi aderenti (che valgono il 20% della produzione globale), impegnarsi obbligatoriamente nelle seguenti direzioni: evitare di piantare filari di palme sulle torbiere o altri terreni ricchi di carbonio, che svolgono un ruolo chiave nella mitigazione dei cambiamenti climatici; attuare politiche di prevenzione degli incendi; ridurre le emissioni di gas serra; pagare gli operai un salario di sussistenza; impegnarsi nella deforestazione zero".

Intanto in Italia sono sempre di più le aziende del comparto dolciario che hanno deciso di abbandonare l'olio di palma a favore di altri oli vegetali ricchi di grassi insaturi (e dunque più sani), come l'extravergine di oliva o quelli di mais e girasole. Tra le grandi, oltre a Barilla che ha lanciato la linea "Mulino verde" con all'attivo due varietà di biscotti (I "Chicchi di cioccolato" e i "Fiori di latte"), di recente anche Colussi ha deciso di eliminare dai biscotti l'olio di palma sostituito con quello di girasole, riducendo di almeno il 30% la quantità di grassi saturi. Ma ha introdotto anche altre tre grosse novità: la farina che, a seconda del prodotto, sarà integrale o semi integrale (tipo 2), l'uso di uova fresche provenienti da galline allevate a terra e l'impiego di latte fresco 100% italiano. I nuovi biscotti saranno sugli scaffali dei supermercati nei prossimi giorni e avranno un prezzo in linea ai comuni frollini per la prima colazione: 1,69 euro per il pacco da 300 grammi. L’azienda punta in particolare alla colazione, lanciando quattro nuovi frollini (tra cui le Scintille, i Re di Cuori, le Foglie Magiche e i SignorCiok) e migliorando le ricette dei biscotti classici, tra cui anche lo storico biscotto GranTurchese, gli Oswego, i Biscolussi e le fette biscottate.

Tra i piccoli produttori, invece, ricordiamo il biscottificio Di Leo, con sede a Matera in Basilicata, che propone una grande varietà di biscotti, buoni come fatti in casa, privi di olio di palma e con ingredienti di alta qualità.

Anche Misura e Gentilini ormai vendono solo prodotti palm free e si affiancano ad Alce Nero, storico marchio bio da sempre contrario ai grassi tropicali. Ci sono poi marchi come Tre Marie, Galbusera, Esselunga, Coop, Conad, U2 che hanno deciso di eliminare o sostituire il palma da molti nuovi prodotti. La tendenza viene ribadita anche in un protocollo firmato dai produttori di dolci con il ministero della Salute, dove però si promette una riduzione piuttosto piccola del contenuto medio di acidi grassi saturi nelle merendine e nei biscotti. Il dato più evidente del cambiamento è però quello della banca dati del Fattoalimentare,it, che ormai registra 230 biscotti, 40 merendine, 95 snack e 50 creme alla nocciola tutti rigorosamente senza olio di palma.

 

Olio di palma, l'Iss conferma quello che sapevamo già

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oliopalma_L'olio di palma non è nocivo di per sé, né ha componenti specifiche in grado di provocare effetti negativi sulla salute. Tuttavia l'alto contenuto di grassi saturi di questo alimento è legato ai noti rischi cardiovascolari, in caso di consumi elevati. Questo, in sintesi, il parere dell'Istituto superiore di Sanità pubblicato oggi sul sito del ministero della Salute. Che non fa altro che confermare ufficialmente quello che già sapevamo su questo grasso tropicale. Non si è mai detto (almeno nei post pubblicati questo blog) che il palma sia nocivo: si è sempre però sottolineato che va trattato al pari di altri grassi saturi. Come tale il consumo va limitato e bisogna porre attenzione alla quantità giornaliera ingerita, dal momento che è presente in diversi prodotti da forno (dai biscotti della colazione, al pane in cassetta a pranzo, dai crackers dello snack pomeridiano ai grissini della sera, tanto per fare un esempio).

"Si tratta di un alimento, e pertanto non può essere definito 'tossico', ciò che fa la differenza è quanto se ne mangia", precisa  Marco Silano, direttore del reparto Alimentazione e salute dell'Iss, che ha pure evidenziato la crescita nell'impiego di questo ingrediente da parte dell'industria alimentare. "Il dato di importazione è fortemente aumentato. Ed è una buona misura per capire quanto sia cresciuto l'uso di olio di palma". È pur vero, però, che nel nostro Paese l'industria dolciaria non è rimasta insensibile al tema e sono ormai molte le aziende, anche grandi, che hanno limitato o eliminato del tutto l'uso di questo grasso.

Per quanto riguarda gli effetti sulla salute "non c'è nessun problema - continua Silano - se si fa una dieta varia ed equilibrata, seguendo di stili di vita sani. Ma bisogna avere particolare attenzione per alcune categorie di persone più a rischio per il consumo di grassi saturi: forti consumatori di prodotti industriali, obesi, cardiopatici, dislipidemici, anziani e bambini".

Le linee guida internazionali, ricorda l'esperto, raccomandano di mantenere l'assunzione di grassi saturi al di sotto del 10% delle calorie giornaliere. "La nostra analisi indica che i bambini tra i 3 e i 10 anni consumano 20 grammi di questi grassi da alimenti non trasformati (latte, uova, carne) e tra i 4 e i 7 grammi da alimenti industriali, per una percentuale complessiva del 12% delle calorie giornaliere. Mentre gli adulti arrivano all'11, 2%. Questo indica che è necessario ridurre per raggiungere i livelli di consumo accettabili, soprattutto nei bambini", aggiunge l'esperto che evidenzia la disomogeneità della fascia d'età studiata.

"Siamo consapevoli che a 3-10 anni i bambini sono consumatori differenti (i più grandi già 'scelgono', i più piccoli dipendono dai genitori) purtroppo, al momento, i dati di consumo disponibili sono solo questi, ma sarebbe utile avere un quadro più dettagliato, anche in relazione al consumo di merende industriali", conclude il ricercatore.

"L'olio di palma - si legge nelle conclusioni del parere dell'Iss - rappresenta una rilevante fonte di acidi grassi saturi, cui le evidenze scientifiche attribuiscono - quando in eccesso nella dieta - effetti negativi sulla salute, in particolare rispetto al rischio di patologie cardiovascolari. Oltre a quelli contenuti nell'olio di palma aggiunto agli alimenti durante la trasformazione industriale, acidi grassi saturi vengono assunti attraverso il consumo di molti alimenti non trasformati che li contengono naturalmente, come latte e derivati, uova e carne".

Nel parere si precisa che "non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l'olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/polinsaturi, quali, ad esempio, il burro. Il minor effetto di altri grassi vegetali, come ad esempio l'olio di girasole, nel modificare l'assetto lipidico plasmatico è dovuto al minor apporto di acidi grassi saturi e al contemporaneo maggior apporto di polinsaturi. A ulteriore riprova che gli effetti sulla salute dell'olio di palma sono legati alla sua composizione in acidi grassi, si osserva che il suo consumo non è correlato all'aumento di fattori di rischio per malattie cardiovascolari" in persone con peso e colesterolo nella norma, giovani e "che assumano contemporaneamente le quantità adeguate di polinsaturi".

Per le stesse ragioni sono più vulnerabili le "fasce di popolazione quali bambini, anziani, dislipidemici, obesi, pazienti con pregressi eventi cardiovascolari, ipertesi possano presentare una maggiore vulnerabilità rispetto alla popolazione generale. Per tale ragione, nel contesto di un regime dietetico vario e bilanciato, comprendente alimenti naturalmente contenenti acidi grassi saturi (carne, latticini, uova), occorre ribadire la necessità di contenere il consumo di alimenti apportatori di elevate quantità di grassi saturi i quali, nelle stime di assunzione formulate nel presente parere, appaiono moderatamente in eccesso nella dieta delle fasce più giovani della popolazione italiana".

Olio di palma tossico, multinazionali lo sapevano dal 2009

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oliopalma_L'Efsa ha stabilito di recente che l'olio di palma è dannoso per la salute, soprattutto per quella dei bambini. Ed è arrivata a questo risultato dopo uno studio decennale e molto accurato. È triste però scoprire che le grandi multinazionali dell'alimentazione lo sapevano già dal 2009. Lo testimonia il report di un convegno tenutosi appunto il 21-22 aprile del 2009 a Praga che aveva per tema proprio i "contaminanti" frutto dei processi di trasformazione dei cibi e le strategie per ridurli al minimo. Tra le varie sostanze tossiche trattate nel congresso c'era anche il 3-Mcpd, ossia il 3-monocloropropandiolo e suoi esteri degli acidi grassi. Una sostanza tossica che si sprigiona quando gli oli vegetali - e soprattutto quello di palma - sono sottoposti a raffinazione ad alte temperature (200°C). In particolare sia l'Efsa nel suo studio che i colossi dell'industria alimentare presenti al convegno praghese sottolineano che nel trattamento degli oli di semi in genere "vengono prodotti livelli notevolmente inferiori di esteri Mcpd che dai grassi di palma". Quindi il grasso tropicale anche all'ora era considerato come il principale imputato.

Amare poi le conclusioni del congresso, perché purtroppo ancora attuali anche se riferite al 2009: "Al momento non è possibile la produzione di grassi a base di palma a basso contenuto di esteri Mcpd". L'Efsa nel suo studio, infatti, ha sottolineato che "i livelli di 3-Mcpd e dei suoi esteri degli acidi grassi negli oli vegetali"  e in particolare nel palma "sono rimasti in gran parte invariati nel corso degli ultimi cinque anni". E per questo ha dimezzato la dose giornaliera tollerabile (DGT), portandola a 0,8 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno.

Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha chiesto al Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, Vytenis Povilas Andriukaitis, di avviare con urgenza l’esame della questione all’interno dei gruppi tecnici. La palla passa dunque all'Ue e si spera che intervenga a regolare per legge  i parametri per un uso non pericoloso per la salute dell’olio di palma in campo alimentare.

Intanto in Italia si allunga la lista di aziende che hanno scelto volontariamente di eliminare l'olio di palma dai propri prodotti. L'ultima è la Coop, che già aveva tolto il grasso tropicale da oltre 100 prodotti a marchio. Ma che, dopo la pubblicazione del dossier dell'Efsa, ha decisio di abolirlo del tutto anche nei 120 prodotti restanti. La sostituzione avverrà gradualmente nei prossimi mesi.

 Aggiornamento del 1° giugno 2016

In base al diritto di replica stabilito dall'articolo 8 della legge sulla stampa 47/1948 riceviamo e pubblichiamo il seguente comunicato dell'Unione italiana per l'olio di palma sostenibile:

In relazione all’articolo pubblicato in data 8 maggio intitolato “Olio di palma tossico, multinazionali lo sapevano dal 2009”, l’Unione Italiana per l’Olio Italiana Olio di Palma Sostenibile, avendo riscontrato la presenza d’informazioni non corrette, precisa che:

 -          Non è vero che assistiamo a un’invasione di olio di palma e che negli ultimi anni se ne consuma (attraverso gli alimenti) 4 volte di più.

Se è vero che i volumi complessivi di olio di palma importato in Italia sono effettivamente aumentati in questo arco di tempo, bisogna precisare che le quantità utilizzate dall’industria alimentare in realtà hanno registrato una crescita media inferiore al 2% l’anno. Nel 2005 l’olio di palma importato nel nostro Paese e destinato a uso alimentare ammontava a circa 325.000 tonnellate, che oggi sono diventate circa 386.000 (dati ISTAT). Senza considerare che una quota importante di questa materia prima, pari a circa il 25-30% del totale, riprende la strada dell’estero visto che i prodotti in cui viene utilizzata sono uno dei vanti del made in Italy esportati in tutto il mondo.

L’olio di palma importato per essere utilizzato nei cibi non pesa neppure la metà del totale, visto che l’altra metà (circa) è costituito da olio di girasole, soia, arachidi, colza e cocco.

A crescere evidentemente è la quota d’olio di palma importato per altri usi, non alimentari: dal biodiesel, all’energia, alla cosmetica etc… Basta vedere che in Europa, sempre dal 2011 al 2015, l’olio di palma a uso industriale, diverso dall’alimentare, è cresciuto di quasi il +40%, passando da 2.310 a 3.100 milioni di tonnellate.

-          Non è vero che “le aziende sapevano” già dal 2009 che la presenza di questi contaminanti era pericolosa per la salute dei consumatori.

Al contrario in questi ultimi 10 anni le aziende avevano ricevuto rassicurazioni sull’assenza di effetti tossici dell’olio di palma, da parte della comunità scientifica e delle autorità sanitarie.

I risultati di una precedente analisi pubblicata dall’EFSA nel 2013, valutando l’esposizione al 3-MCDP da parte dei cittadini europei, aveva fornito un quadro che non dava motivo di allarme.

I livelli riscontrati nel nostro Paese (diversamente da molte altre nazioni europee) erano ampiamente al di sotto del limite allora considerato sicuro (2 microgrammi per chilo di peso corporeo per giorno) e comunque coerenti con l’attuale limite suggerito dall’EFSA all’Unione Europea (0,8 microgrammi per chilo di peso corporeo per giorno).

Anche una meta analisi del 2014 dell’Istituto Mario Negri- che ha analizzato 51 studi  e ricerche scientifiche dedicati all’olio di palma – aveva concluso che non esistevano “evidenze probanti” di un rischio tumorale associato all’olio di palma.

Riguardo la correlazione con il cancro, l’Istituto Superiore di Sanità afferma che: “attualmente non risultano disponibili studi prospettici specificamente disegnati a definire la possibile associazione tra consumo di olio di palma e insorgenza di cancro nell'uomo”[i].

Nonostante ciò in questi anni le aziende hanno agito su base volontaria e in assenza d’imposizione di legge per ridurre l’impatto di questi contaminanti. E continueranno a farlo.

Lo stesso studio dell’EFSA riconosce gli sforzi fatti dall’industria, a livello volontario, che si è tradotto in un deciso miglioramento dei processi di raffinazione con conseguente significativo abbattimento delle sostanze potenzialmente nocive.

L’analisi dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare in particolare riscontra, tra il 2010 e il 2015, una riduzione significativa del contaminante 3MCPD e un dimezzamento del contaminante GE (ma è previsto, sempre su base volontaria, un ulteriore riduzione arrivando a 1 millesimo di microgrammo per chilo in tutti e tipi di oli raffinati e grassi entro settembre 2017).

-          I prodotti che contengono olio di palma non vanno considerati pericolosi per la salute del consumatore.

L’EFSA non ha mai dichiarato che l’olio di palma in sé sia cancerogeno o tossico, bensì che in alcuni procedimenti di lavorazione o raffinazione in cui si arriva ad alte temperature (oltre 200 °C) negli oli vegetali raffinati (e quindi non solo in quello di palma) si possono sviluppare dei contaminanti di processo – GE, 2 e 3 MCPD – che, possono essere nocivi per la salute.

L’eventuale presenza di contaminanti da glicerolo negli oli vegetali raffinati dipende da come l’olio è stato lavorato, non dal fatto che si tratti di olio di palma o di olio di semi o altro tipo di olio. L’olio di palma può infatti presentare contaminanti da glicerolo in quantità prossime a quelle – minime - che si riscontrano in altri oli vegetali raffinati

A conferma di questo, un recentissimo test di mercato, effettuato da un ente indipendente tedesco evidenzia che, su 21 creme spalmabili alla nocciola, una prodotta con olio di girasole conteneva contaminanti in quantità molto superiore a quelle realizzate con olio di palma.

I prodotti in commercio contenenti olio di palma sono da ritenersi a norma e sicuri per il consumatore. Nessuna autorità sanitaria nazionale o internazionale, ha ritenuto necessario adottare interventi.

Anche dalla prima riunione del “Governmental Expert Group on Contaminants” della UE, tenutasi a Bruxelles il 13/5, non sono emerse adozioni di misure d’emergenza.

 


[i] Parere dell’Istituto Superiore di Sanità sulle conseguenze per la salute dell’utilizzo dell’olio di palma come ingrediente alimentare http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2465

 

 

Olio di palma, le aziende contestano i dati del Test

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olioL’Unione italiana per l’olio di palma sostenibile contesta  i risultati dell'inchiesta del Test-Salvagente che ha messo a confronto il grasso tropicale con altri oli vegetali, dimostrando che il palma raffinato contiene quantità molto maggiori di uno dei contaminanti individuati dall’Efsa, ossia il 3-mcpd, sostanza considerata nefrotossica (dannosa per i reni) .

Le analisi del mensile dei consumatori, condotte dall’Università Federico II di Napoli, dimostrano che tra i 38 oli di semi esaminati esistono famiglie di prodotti con tenori medio-alti di 3-mcpd e tipi di semi che garantiscono basse presenze. Le concentrazioni più basse le troviamo nell'olio di semi misti (20 mcg/kg) o quello di girasole (24 mcg/kg). In mezzo il mais (25 mcg/kg) e l’olio di oliva vergine (37 mcg/kg), un po' più in alto l'arachide (64mcg/kg). Numeri che dimostrano che altri oli e grassi vegetali sono meno esposti al contaminante da processo denunciato dall’Efsa.

Anche nel dossier dell’autorità europea per la sicurezza alimentare si legge chiaramente: “I più elevati livelli di GE (glicidil esteri degli acidi grassi, classificati come probabili cancerogeni, ndr) come pure di 3-mcpd e 2-mcpd (compresi gli esteri) sono stati riscontrati in oli di palma e grassi di palma, seguiti da altri oli e grassi”.

Le accuse delle aziende. Ma per l’associazione del palma sostenibile il Test-Salvagente "ha usato metodi discutibili" che potrebbero confondere i consumatori: "A nostro avviso, i risultati del reportage sono contestabili sotto vari punti di vista – spiega il presidente Giuseppe Allocca – In primo luogo, gli oli presi in esame sono gli stessi che possono essere acquistati in qualsiasi supermercato dal consumatore (prodotti finiti), si va da quelli per condimenti a quelli per fritture, fino a quelli per la preparazione di dolci da fare in casa. Si tratta quindi di prodotti assai diversi da quelli usati dall’industria alimentare (oli grezzi ad uso industriale). Parliamo di materie prime simili, ma che sono lavorate in modo differente perché destinate ad usi diversi. Confrontare quindi i risultati ottenuti seguendo questo metodo significa commettere un errore. L’indagine mette poi in relazione dati europei Efsa (calcolati sulla media dei 28 Paesi UE) con dati italiani evidentemente ottenuti con metodi analitici diversi. Infine - prosegue Allocca - confrontare e analizzare oli così diversi tra loro è un altro errore di metodo. La presenza di contaminanti negli oli vegetali raffinati, infatti, dipende principalmente da come l’olio viene raccolto, stoccato e lavorato e non dalla tipologia di olio in sé. L’olio di palma - conclude - ottenuto da frutti spremuti in tempi brevi dopo il raccolto e lavorati a temperature adeguate, presenta contaminanti in quantità prossime a quelle minime che si riscontrano in altri oli vegetali raffinati, come quelli di semi (girasole, mais, colza, etc). L’olio di palma quindi non è tutto uguale, dal punto di vista alimentare, oltre che sociale e ambientale".

La difesa del Salvagente. In risposta il Test-Salvagente difende l'inchiesta e il metodo di indagine utilizzato, replicando punto per punto alle contestazioni di Allocca: "Altro che falsi allarmismi - ribatte Riccardo Quintili, direttore della testata -  quello dell’Unione italiana olio di palma sostenibile sembra il canto del cigno: a condannare l’uso di questo grasso non è stato certo il nostro test ma le analisi dell’Efsa che hanno mostrato un livello 'monstre' di sostanze 'potenzialmente cancerogene'. In dettaglio il dottor Allocca - continua Quintili - ci contesta di aver messo a confronto oli presenti sullo scaffale e grassi destinati all’industria alimentare. Accusa pretestuosa: non è infatti vero che gli oli di palma analizzati dall’Efsa arrivano sulle nostre tavole attraverso merendine, biscotti, creme spalmabili, perfino latti in polvere per neonati? E, a meno di voler contestare i dati diffusi dall’Efsa, il contenuto del tanto temuto 3-mcpd arriva intatto nella dieta dei più piccoli. A dirlo, ancora una volta, non siamo noi, ma è la stessa Efsa che ammonisce come 'per le fasce di età più giovani, adolescenti compresi (fino a 18 anni di età), supera la dose giornaliera tollerabile e costituisce un potenziale rischio per la salute'. Si tratta di medie europee, vero, ma come si può sostenere che l’Italia sia un’isola felice dove l’olio di palma è miracolosamente più sano che nel resto d’Europa? Ci viene obiettato che il risultato sui valori molto bassi dell’olio di palma puro. Valori contraddittori con quelli dell’Efsa? Tutt’altro. Sta all’industria spiegarli, ma una delle ipotesi è che nel processo di raffinazione e deodorazione (necessario prima di introdurli come ingredienti in dolci, biscotti, e altri alimenti) i trattamenti producano l’impennata di 3-mcpd. Lo spirito del test era di dimostrare che all’olio di palma vi è alternativa - conclude il direttore del Salvagente -  Capiamo che questo possa non piacere a chi ha costituito un consorzio a difesa dell’olio di palma, investendo centinaia di migliaia di euro in pubblicità. Ma di certo è un tema che tocca da vicino molte industrie italiane e tutti i consumatori. Non è un caso che, in virtù del principio di precauzione, intere catene (come la Coop, ndr) e grandi marchi abbiano fatto un passo indietro nell’uso del palma".

In Parlamento. "L’olio di palma sostenibile non esiste", sostiene convinto Mirko Busto, deputato del M5s che ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute Beatrice Lorenzin sull’opportunità di sospendere l’autorizzazione sanitaria al grasso tropicale alla luce del parere Efsa. "Oltre ai rischi per la Salute – afferma Busto, ideatore del sito oliodipalmainsostenibile.it, nel corso di un convegno sul tema che si è tenuto alla Camera –denunciamo da tempo anche i danni per l’ambiente. La coltivazione delle palme da olio è la causa principale di distruzione delle foreste pluviali di Malesia e Indonesia. Le popolazioni locali sono private della loro terra e sfruttate dalle multinazionali dell’industria alimentare".

Palma-leaks. Per Dario Dongo, esperto di diritto alimentare e fondatore di Great Italian Food Trade, "le 10 grandi sorelle del cibo da una dozzina d'anni avevano esatta conoscenza dei pericoli associati al consumo di olio di palma. E tuttavia, all'insegna del maggior profitto - anziché preoccuparsi di sostituire questo grasso inquinato per garantire la sicurezza degli alimenti e la salute dei consumatori, soprattutto i più piccoli - ne ha incrementato l'utilizzo. Raddoppiandolo, in pochi anni".

 

 

 


Olio di palma, l'Università di Napoli non lo assolve

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oliopalma_L'ultimo tentativo di stravolgere le evidenze scientifiche e di assolvere  l'olio di palma, ricco di grassi saturi e responsabile della deforestazione delle foreste pluviali, si è registrato dopo un convegno dal titolo "Olio di Palma sì, olio di Palma no" che si è tenuto a febbraio a Napoli, presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II. Molti articoli in rete e sui giornali (scritti  sulla base di lanci di agenzie di stampa che hanno diffuso la "velina" della lobby dei produttori fautori dell'olio tropicale), hanno completamente travisato le parole dei relatori, annunciando la riabilitazione del palma da parte della scienza. Per arginare questa falsa notizia, gli organizzatori del convegno hanno diffuso un comunicato stampa per far sapere cosa è stato detto realmente.

L’incontro, organizzato dal professor Alberto Ritieni del Dipartimento di Farmacia, ha coinvolto il professor Gabriele Riccardi, ordinario di Malattie del Metabolismo presso l’Università Federico II e il dottor Marco Silano, direttore del Reparto Alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto Superiore di Sanità, per trattare le potenziali ricadute nutrizionali, di sicurezza e l’impatto sulla salute dei consumatori del consumo di olio di palma. Entrambi i relatori hanno sottolineato come, pur senza voler lanciare anatemi e liste di proscrizione, sia necessaria una certa cautela nell’uso dell’olio tropicale e degli alimenti che lo contengono. Tra questi sono presenti in prevalenza prodotti da forno, creme spalmabili e merendine preparati a livello industriale. L’industria alimentare preferisce l’olio di palma ad altri grassi perché costa poco ed è in grado di dare consistenza cremosa o croccante agli alimenti.

Tuttavia si tratta di un ingrediente con un contenuto di acidi grassi saturi- responsabili dell’innalzamento dei livelli di colesterolo nel sangue – superiore alla maggior parte degli altri oli quali: olio d’oliva, olio di semi di girasole, olio di soia e olio di mais. Questi oli hanno il vantaggio di  avere un  contenuto di acidi grassi mono/polinsaturi che contribuiscono a mantenere il colesterolo sotto controllo. Solamente il burro ha un contenuto percentuale di acidi grassi saturi simile a quello dell’olio di palma, ma c’è una differenza importante. L’acido palmitico dell’olio tropicale (componente posta sotto accusa dai nutrizionisti)  è presente in quantità doppia rispetto al burro. Questo va debitamente considerato giacché ricerche recenti hanno dimostrato che non tutti i grassi saturi hanno gli stessi effetti negativi per la salute  e per il sistema cardiovascolare.  Mentre alcuni di essi – in particolare l’acido palmitico – contribuiscono ad aumentare significativamente i livelli di colesterolo, altri, come l’acido stearico (contenuto, ad esempio, nella sugna) sono relativamente meno dannosi. L’acido palmitico è presente anche in altri alimenti come la carne e i prodotti caseari (formaggi, latticini, burro, creme), ma è particolarmente abbondante nell’olio di palma.

Alla luce di queste considerazioni – ricorda il comunicato – appare logico raccomandare all’industria di sostituire, quando possibile, l’olio di palma con altri grassi che, anche se più costosi, sono certamente più salutari in quanto in grado di contribuire a mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo riducendo, così, il rischio cardiovascolare. Occorre, però, considerare che gli alimenti contenenti olio tropicale forniscono, in media, soltanto circa il 10% del totale di acidi grassi assunti dalla popolazione adulta in Italia (nei bambini e negli adolescenti il suo contributo è significativamente più elevato). Tuttavia, essendo principalmente presenti nei  prodotti industriali in gran parte utilizzati a fini voluttuari, sono anche quelli che si possono limitare. Infatti, altre fonti di grassi saturi – come i derivati del latte o la carne – contengono proteine nobili e altri nutrienti che giustificano ampiamente la loro presenza, sebbene in quantità moderate, nella dieta abituale.

Nel corso del convegno, inoltre, sono stati ribaditi i potenziali problemi del palma dovuti alla presenza di sostanze cancerogene derivate dal processo di raffinazione, come ha evidenziato l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) in uno studio risalente al 2016. L’Efsa ha focalizzato l’attenzione sull’olio di palma perché le quantità in esso presenti sono di gran lunga superiori rispetto agli altri grassi vegetali: 6/7 volte superiore rispetto all’olio di mais, alle miscele di olio per friggere e almeno 70 volte rispetto all’olio di oliva. Per questo motivo il consumo abituale di prodotti alimentari contenenti quantità rilevanti di olio di palma viene indicato come potenzialmente rischioso, soprattutto per bambini e adolescenti.